TRAMA:
Arthur Fleck vive con l'anziana madre in un palazzone fatiscente e
sbarca il lunario facendo pubblicità per la strada travestito da clown,
in attesa di avere il giusto materiale per realizzare il desiderio di
fare il comico. La sua vita, però, è una tragedia: ignorato, calpestato,
bullizzato, preso in giro da da chiunque, ha sviluppato un tic nervoso
che lo fa ridere a sproposito incontrollabilmente, rendendolo
inquietante e allontanando ulteriormente da lui ogni possibile relazione
sociale. Ma un giorno Arthur non ce la fa più e reagisce violentemente,
pistola alla mano. Mentre la polizia di Gotham City dà la caccia al
clown killer, la popolazione lo elegge a eroe metropolitano, simbolo
della rivolta degli oppressi contro l'arroganza dei ricchi.
Si
presenta con una carta, il Fleck di Todd Phillips, ma non è una carta da
gioco: è il documento di una malattia mentale, che lo rende un
emarginato, un rifiuto della società, come ci dice la prima sequenza del
film, sovrapponendo al suo volto la cronaca di una città allo sbando,
sommersa dalla spazzatura fisica e metaforica.
Primo stand-alone
sul più famoso villain della DC Comics, il film di Todd Phillips esplora
dunque la nascita di un mostro prodotto dalla società stessa, creato e
nutrito da illusioni e delusioni, maltrattamenti fisici e psichici,
nell'epoca che mescola spettacolo pubblico e degrado morale.
Ambientata
nei primi anni '80, l'origin story diretta, prodotta e co-scritta da
Phillips colma i vuoti strategici lasciati nel passato del personaggio,
mescolando le indicazioni di Alan Moore e Brian Bolland con la cronaca
vera americana e con l'omaggio al cinema coevo di Scorsese, Re per una
notte e Taxi Driver in particolare. Parallelamente alla costruzione
narrativa della maschera di Joker, siamo invitati ad assistere alla
costruzione interpretativa del personaggio che Joaquin Phoenix compie
sotto i nostri occhi, trasformandosi fisicamente in altro da sé,
aggiungendo energia man mano che perde peso, liberandosi
progressivamente dal diktat del sorriso socialmente conveniente ("It's
so hard to be Happy all the time") per riscrivere radicalmente e alla
propria maniera le regole della commedia della vita.
Niente che
non funzioni nel meccanismo: il film cresce, una scena alla volta, come
un assembrarsi di folla, perfettamente oliato, come il dialogo in
diretta televisiva tra Joker e Rober "Murray" De Niro, ma in fondo Joker
non aggiunge al personaggio niente che faccia davvero la differenza
rispetto a quanto abbiamo imparato su di lui in The Dark Knight e il
contributo della regia non è paragonabile a quanto costruito a suo tempo
da Nolan.
Joaquin Phoenix è lasciato solo al centro del film,
com'è solo Arthur Fleck, senza ancora un arcinemico per cui vivere: il
suo Joker è tutto ciò che c'è da vedere e va a ragione ad iscriversi ai
primi posti nella lista dei tanti volti dell' "uomo che ride",
vendicatore psicotico di chi non l'ha capito, delirante (delusional)
illusionista, capace di fondere nella propria immagine quella di Heath
Ledger e di Anton Chigurh, Honka, Chaplin e Andy Kaufman, senza mai
assomigliare a nessun altro.