Don Giuseppe, parroco a Roma, chiede di essere trasferito nella sua terra d'origine, la Campania, e la sua richiesta viene accolta: prenderà il posto di Don Antonio, che sovrintende la parrocchia di un paesino del napoletano con grande entusiasmo, ed è molto apprezzato dai fedeli. Appena arrivato Don Giuseppe si scontra con l'ostilità di suor Antonietta, braccio destro di Don Antonio, e si imbatte in Assunta, una giovane donna che nasconde un doloroso segreto. In breve dovrà decidere se lasciarsi coinvolgere dai problemi che affliggono i parrocchiani o "farsi i fatti propri", come lo invitano a fare coloro che collaborano a vari livelli con la malavita locale.
Nel suo tradizionale stile nitido, Vincenzo Marra affronta uno degli argomenti più spinosi nell'Italia cattolica: il ruolo della Chiesa nel rapporto con la malavita organizzata. E lo fa al grado zero, raccontando una figura di sacerdote discreta e pragmatica, che affronta i problemi che incontra uno alla volta, rimboccandosi le maniche, e assumendosi la responsabilità di ogni sua azione.
La traiettoria narrativa è, come sempre in Marra, spietata nella sua lucidità: ai compiacimenti e ai fronzoli il regista-sceneggiatore preferisce lo sguardo dritto, la chiarezza nel raccontare un mondo che "quest'è", da molto tempo, e non ha alcuna intenzione di cambiare. Si intuisce il suo dolore nel raccontare di un luogo in cui la Chiesa si scaglia solo contro quelle sacche di malaffare che hanno perso interesse, agli occhi del malaffare: dunque è lecito combattere apertamente i rifiuti tossici interrati ma non la droga spacciata alla luce del sole. Marra racconta un luogo in cui chi "non si arrende mai" passa da matto suicida, è un disturbo alla quiete pubblica, e dimostra di non saper mantenere quell'equilibrio cui fa cenno il titolo: il che, in Italia, significa voltare la testa dall'altra parte davanti ai problemi e alle responsabilità.
L'equilibrio vero è totalmente assente da una situazione sociale in cui tutto pende dalla parte della criminalità, da cui dipendono la sicurezza, il lavoro, il futuro della comunità. Il grande assente, nella diocesi di Don Giuseppe come in gran parte del Sud del Paese, è lo Stato: un convitato di pietra sostituito simbolicamente da una capra che pascola indisturbata all'interno di un campetto sportivo, mandando chiaro il messaggio alle giovani generazioni - casomai avessero qualche velleità rivoluzionaria - su chi comanda in quei luoghi, e chi non verrà mai a fermarlo.
Mimmo Borrelli interpreta Don Giuseppe (peraltro il nome del padre di Gesù) come un Cristo contemporaneo, pienamente cosciente dei rischi che corre eppure non disposto ad arretrare, umano anche nelle sue debolezze, compresa l'attrazione verso una volontaria della parrocchia romana, unico stimolo davanti al quale il sacerdote fugge, per la paura di veder indebolita la propria vocazione. Le sue paure restano tangibili e Marra ci costringe a condividerle visivamente, facendoci seguire Don Giuseppe attraverso numerosi piani sequenza, dentro corridoi stretti che sottolineano l'obbligatorietà delle sue scelte morali.
MAR 31-10-2017 | 16:00 - 19:30 - 21:30 |
MER 01-11-2017 | 21:00 |
GIO 02-11-2017 | 20:30 |
Biglietto Intero | € 6.00 |
Biglietto Ridotto | € 4.50 |
Tessera Jolly 8 ingressi | € 32.00 |
Don Giuseppe, parroco a Roma, chiede di essere trasferito nella sua terra d'origine, la Campania, e la sua richiesta viene accolta: prenderà il posto di Don Antonio, che sovrintende la parrocchia di un paesino del napoletano con grande entusiasmo, ed è molto apprezzato dai fedeli. Appena arrivato Don Giuseppe si scontra con l'ostilità di suor Antonietta, braccio destro di Don Antonio, e si imbatte in Assunta, una giovane donna che nasconde un doloroso segreto. In breve dovrà decidere se lasciarsi coinvolgere dai problemi che affliggono i parrocchiani o "farsi i fatti propri", come lo invitano a fare coloro che collaborano a vari livelli con la malavita locale.
Nel suo tradizionale stile nitido, Vincenzo Marra affronta uno degli argomenti più spinosi nell'Italia cattolica: il ruolo della Chiesa nel rapporto con la malavita organizzata. E lo fa al grado zero, raccontando una figura di sacerdote discreta e pragmatica, che affronta i problemi che incontra uno alla volta, rimboccandosi le maniche, e assumendosi la responsabilità di ogni sua azione.
La traiettoria narrativa è, come sempre in Marra, spietata nella sua lucidità: ai compiacimenti e ai fronzoli il regista-sceneggiatore preferisce lo sguardo dritto, la chiarezza nel raccontare un mondo che "quest'è", da molto tempo, e non ha alcuna intenzione di cambiare. Si intuisce il suo dolore nel raccontare di un luogo in cui la Chiesa si scaglia solo contro quelle sacche di malaffare che hanno perso interesse, agli occhi del malaffare: dunque è lecito combattere apertamente i rifiuti tossici interrati ma non la droga spacciata alla luce del sole. Marra racconta un luogo in cui chi "non si arrende mai" passa da matto suicida, è un disturbo alla quiete pubblica, e dimostra di non saper mantenere quell'equilibrio cui fa cenno il titolo: il che, in Italia, significa voltare la testa dall'altra parte davanti ai problemi e alle responsabilità.
L'equilibrio vero è totalmente assente da una situazione sociale in cui tutto pende dalla parte della criminalità, da cui dipendono la sicurezza, il lavoro, il futuro della comunità. Il grande assente, nella diocesi di Don Giuseppe come in gran parte del Sud del Paese, è lo Stato: un convitato di pietra sostituito simbolicamente da una capra che pascola indisturbata all'interno di un campetto sportivo, mandando chiaro il messaggio alle giovani generazioni - casomai avessero qualche velleità rivoluzionaria - su chi comanda in quei luoghi, e chi non verrà mai a fermarlo.
Mimmo Borrelli interpreta Don Giuseppe (peraltro il nome del padre di Gesù) come un Cristo contemporaneo, pienamente cosciente dei rischi che corre eppure non disposto ad arretrare, umano anche nelle sue debolezze, compresa l'attrazione verso una volontaria della parrocchia romana, unico stimolo davanti al quale il sacerdote fugge, per la paura di veder indebolita la propria vocazione. Le sue paure restano tangibili e Marra ci costringe a condividerle visivamente, facendoci seguire Don Giuseppe attraverso numerosi piani sequenza, dentro corridoi stretti che sottolineano l'obbligatorietà delle sue scelte morali.