Orfano scampato alla Prima Guerra Mondiale, John Ronald Reuel Tolkien
ripercorre in trincea la sua vita, ritorna sulla sua giovinezza, sugli
anni degli studi, del primo amore e dei fedeli compagni di scuola.
Risale il tempo fino alla stagione più bella, vissuta con immaginazione e
interrotta bruscamente dalla guerra. La Grande Guerra che distruggerà
la 'comunità' in cui si è forgiato come l'unico anello l'immaginario dei
romanzi a venire. Professore a Oxford segnato dall'inferno della Somme
nel 1916, J. R. R. Tolkien sposa Edith Bratt e la fascinazione per il
folklore germanico (e scandinavo), scrivendo (tra gli altri) "Il Signore
degli Anelli" e diventando lo scrittore più letto al mondo con 150
milioni di libri venduti.
Da dove nasce la passione di J.R.R.
Tolkien per i miti nordici? E la sua idea per la Compagnia dell'Anello,
quel gruppo di eroi impavidi partiti per distruggere il Male?
Il
colpo di genio di questo (in)quieto biopic di maniera, consacrato agli
anni della giovinezza dell'autore, consiste proprio nel mostrare, con
l'aiuto di visioni soprannaturali, come gli avvenimenti della sua vita
abbiano nutrito la sua opera. Impossibile rendere giustizia al 'grande
mago delle Terre di Mezzo' in 112 minuti, con un budget modesto e
un'ambizione per forza di cose ridotta. Il regista finlandese Dome
Karukoski fa quello che può e ha almeno un merito: quello di lanciarsi
con la passione incosciente di Merry e Pipino dentro un'impresa
rischiosa. Il suo affetto sincero per l'opera di Tolkien evita al film
di affondare offrendo qualche istante lirico che non avrebbe rinnegato
nemmeno lo scrittore di "Lo Hobbit".
Se le licenze artistiche
sono tante (forse troppe) e forzano il rigore dei fatti, come la
pazienza dei guardiani incorruttibili del tempio familiare, se le
risorse di cui disponeva Karukoski non erano esattamente quelle a
disposizione di Peter Jackson, che a suo modo aveva già superato la
linea di confine, tuttavia il regista fa il suo lavoro e limita i danni
affidando questo bizzarro oggetto cinematografico agli occhi blu di
Nicholas Hoult (Skins, la serie britannica, A Single Man, X-Men -
L'inizio, Mad Max: Fury Road). Sguardo turchese di una bellezza
insondabile, l'attore se ne serve come di una maschera per tradire o
celare la vera natura del personaggio che incarna.
Dovendo dare
un volto al fondatore del fantasy moderno, padre di una mitologia
prodigiosa concepita sulle poltrone di una tea-room di Oxford, lo
spirito apparentemente mite di Hoult si è imposto. Sotto il tweed che lo
avvolge e la compostezza richiesta dall'epoca si agita un mondo
affollato di elfi e nani, di maghi e orchi.
Il film rintraccia di
fatto la prima vita di J.J.R. Tolkien, la vita prima di "Lo Hobbit" e
di "Il Signore degli Anelli". Il suo candore, la sua intelligenza, il
suo senso della lealtà, dell'amicizia, dell'amore, il suo terrore nelle
trincee della Grande Guerra, tutto passa e tutto si racconta attraverso
lo sguardo grave e instabile di Hoult. Un lago immobile squassato sotto
la superficie da un mondo immaginario incommensurabile.
Tolkien
invita lo spettatore a interpretare ogni avvenimento come una sorgente
d'ispirazione per i romanzi in fieri. Sauron sorge allora dal fango
delle trincee e Arwen dallo spirito luminoso e indomabile della donna
amata. D'altra parte le invenzioni dei grandi artisti hanno sovente a
che fare con uno o più traumi fondatori e i biopic ci affondano le mani
per raggiungere i loro fini esplicativi.
Curiosamente in Tolkien i
raccordi tra vita e opere dell'autore sono cortocircuitati da ricordi
di cinema. È l'orrore della Prima Guerra Mondiale che esplode davanti
agli occhi del giovane Tolkien ma è il fuoco rosso di Mordor che
vediamo. Come se le immagini elaborate da Dome Karukoski evocassero allo
spettatore quelle realizzate da Peter Jackson per i suoi celebri
adattamenti (La Compagnia dell'Anello, Le due torri, Il ritorno del re).
Come
se il regista neozelandese avesse imposto con la sua personalità un
canone cinematografico per l'universo tolkieniano. La ricerca delle
immagini dietro le immagini procura un piacere inaspettato e diventa il
motivo conduttore di un ritratto accademico di buona volontà. Volontà
che non illumina tuttavia sull'uomo e la sua opera, nata al fuoco di un
camino. Perché come Bilbo Baggins, Tolkien amava il focolare domestico,
la pipa e la tranquillità rurale di una terra che si crogiola (ancora)
nel suo conforto insulare.
MAR 03-12-2019 | 16:00 - 20:00 |
MER 04-12-2019 | 18:00 - 21:00 |
GIO 05-12-2019 | 20:30 |
Biglietto Intero | € 6.50 |
Biglietto Ridotto | € 5.00 |
Tessera Jolly 8 ingressi | € 36.00 |
Orfano scampato alla Prima Guerra Mondiale, John Ronald Reuel Tolkien
ripercorre in trincea la sua vita, ritorna sulla sua giovinezza, sugli
anni degli studi, del primo amore e dei fedeli compagni di scuola.
Risale il tempo fino alla stagione più bella, vissuta con immaginazione e
interrotta bruscamente dalla guerra. La Grande Guerra che distruggerà
la 'comunità' in cui si è forgiato come l'unico anello l'immaginario dei
romanzi a venire. Professore a Oxford segnato dall'inferno della Somme
nel 1916, J. R. R. Tolkien sposa Edith Bratt e la fascinazione per il
folklore germanico (e scandinavo), scrivendo (tra gli altri) "Il Signore
degli Anelli" e diventando lo scrittore più letto al mondo con 150
milioni di libri venduti.
Da dove nasce la passione di J.R.R.
Tolkien per i miti nordici? E la sua idea per la Compagnia dell'Anello,
quel gruppo di eroi impavidi partiti per distruggere il Male?
Il
colpo di genio di questo (in)quieto biopic di maniera, consacrato agli
anni della giovinezza dell'autore, consiste proprio nel mostrare, con
l'aiuto di visioni soprannaturali, come gli avvenimenti della sua vita
abbiano nutrito la sua opera. Impossibile rendere giustizia al 'grande
mago delle Terre di Mezzo' in 112 minuti, con un budget modesto e
un'ambizione per forza di cose ridotta. Il regista finlandese Dome
Karukoski fa quello che può e ha almeno un merito: quello di lanciarsi
con la passione incosciente di Merry e Pipino dentro un'impresa
rischiosa. Il suo affetto sincero per l'opera di Tolkien evita al film
di affondare offrendo qualche istante lirico che non avrebbe rinnegato
nemmeno lo scrittore di "Lo Hobbit".
Se le licenze artistiche
sono tante (forse troppe) e forzano il rigore dei fatti, come la
pazienza dei guardiani incorruttibili del tempio familiare, se le
risorse di cui disponeva Karukoski non erano esattamente quelle a
disposizione di Peter Jackson, che a suo modo aveva già superato la
linea di confine, tuttavia il regista fa il suo lavoro e limita i danni
affidando questo bizzarro oggetto cinematografico agli occhi blu di
Nicholas Hoult (Skins, la serie britannica, A Single Man, X-Men -
L'inizio, Mad Max: Fury Road). Sguardo turchese di una bellezza
insondabile, l'attore se ne serve come di una maschera per tradire o
celare la vera natura del personaggio che incarna.
Dovendo dare
un volto al fondatore del fantasy moderno, padre di una mitologia
prodigiosa concepita sulle poltrone di una tea-room di Oxford, lo
spirito apparentemente mite di Hoult si è imposto. Sotto il tweed che lo
avvolge e la compostezza richiesta dall'epoca si agita un mondo
affollato di elfi e nani, di maghi e orchi.
Il film rintraccia di
fatto la prima vita di J.J.R. Tolkien, la vita prima di "Lo Hobbit" e
di "Il Signore degli Anelli". Il suo candore, la sua intelligenza, il
suo senso della lealtà, dell'amicizia, dell'amore, il suo terrore nelle
trincee della Grande Guerra, tutto passa e tutto si racconta attraverso
lo sguardo grave e instabile di Hoult. Un lago immobile squassato sotto
la superficie da un mondo immaginario incommensurabile.
Tolkien
invita lo spettatore a interpretare ogni avvenimento come una sorgente
d'ispirazione per i romanzi in fieri. Sauron sorge allora dal fango
delle trincee e Arwen dallo spirito luminoso e indomabile della donna
amata. D'altra parte le invenzioni dei grandi artisti hanno sovente a
che fare con uno o più traumi fondatori e i biopic ci affondano le mani
per raggiungere i loro fini esplicativi.
Curiosamente in Tolkien i
raccordi tra vita e opere dell'autore sono cortocircuitati da ricordi
di cinema. È l'orrore della Prima Guerra Mondiale che esplode davanti
agli occhi del giovane Tolkien ma è il fuoco rosso di Mordor che
vediamo. Come se le immagini elaborate da Dome Karukoski evocassero allo
spettatore quelle realizzate da Peter Jackson per i suoi celebri
adattamenti (La Compagnia dell'Anello, Le due torri, Il ritorno del re).
Come
se il regista neozelandese avesse imposto con la sua personalità un
canone cinematografico per l'universo tolkieniano. La ricerca delle
immagini dietro le immagini procura un piacere inaspettato e diventa il
motivo conduttore di un ritratto accademico di buona volontà. Volontà
che non illumina tuttavia sull'uomo e la sua opera, nata al fuoco di un
camino. Perché come Bilbo Baggins, Tolkien amava il focolare domestico,
la pipa e la tranquillità rurale di una terra che si crogiola (ancora)
nel suo conforto insulare.