Luglio 1973. John Paul Getty III, nipote sedicenne del magnate del petrolio Jean Paul Getty, viene rapito a Roma da una banda di criminali calabresi che chiede alla famiglia un riscatto di 17 milioni di dollari. Gail, la madre del ragazzo, si rivolge a nonno Jean Paul, il quale rifiuta categoricamente di pagare. Da quel momento inizia una triangolazione fra Gail che insiste per portare in salvo suo figlio, il miliardario che non cede alle richieste dei rapitori, e un ex agente della CIA, Fletcher Chase, negoziatore esperto nel recuperare uomini e cose. Ridley Scott si ispira alla storia vera del rapimento di John Paul Getty III prendendosi enormi libertà narrative per spostare la narrazione dal realistico al metaforico e costruire un racconto morale per il Ventunesimo secolo che vede protagonisti non gli uomini, ridotti a pedine della Storia, ma il denaro, esplorando in particolare il rapporto fra il denaro e il sangue inteso come legame famigliare ma anche come linfa vitale di quell'umanità subordinata al (dis)valore del dollaro.
Al centro di questa favola nera lugubremente ammonitrice c'è "l'uomo più ricco non solo del mondo, ma della Storia", che è un avaro archetipale: l'Arpagone di Moliére, o lo Scrooge di Dickens.
La vicenda dietro le quinte della lavorazione del film secondo la quale Christopher Plummer, prima scelta di Scott per il ruolo del "vecchio caprone", è stato rimpiazzato da Kevin Spacey e poi recuperato dopo lo scandalo che ha coinvolto Spacey, ha qualche cosa di karmico, tantopiù che Plummer aveva appena magistralmente interpretato il ruolo di Scrooge in Dickens - L'uomo che inventò il Natale. L'attore ha agilmente travasato in Getty quella caratterizzazione, compresa la radice profonda dell'avarizia del miliardario, ovvero la percezione della propria vulnerabilità, prima di tutto fisica.
Come in Casinò e Rapina a mano armata, in Tutti i soldi del mondo conta solo passaggio febbrile del denaro fra gli uomini, perché il denaro deve continuamente muoversi sia in valigette chiuse che attraverso mercati finanziari che fra le dita veloci delle contabili della 'ndrangheta. Un denaro che, per contro, cattura e immobilizza gli uomini, tenendo testa allo strapotere di chi ne possiede così tanto da non poterlo più contare. Ma Gail è una donna che non compra e non (si) vende, e preferisce barattare, con pragmatismo femminile, in nome di una devozione che Getty Senior non capisce ma in qualche modo rispetta.
E poiché la donna gioca su tavoli diversi con un uomo abituato a sfidarsi a scacchi da solo e spiazza il suo avversario perché in realtà lo vorrebbe alleato, è lei l'unica vincitrice morale della storia. Fletcher Chase, personaggio di invenzione nell'ottima sceneggiatura di David Scarpa, è il dannato che fa da tramite fra l'egoismo solitario del vecchio e l'altruismo materno della donna, incapace di sposare l'uno o l'altro atteggiamento nei confronti di una vita della quale si è mantenuto ai margini. La quarta parete è Cinquanta, il rapitore calabrese ferino tanto nell'istinto predatore quanto nell'attaccamento famigliare, anche lui "shakesperianamente" intrappolato fra il denaro e il sangue, e l'unico ad avere consapevolezza di combattere quotidianamente contro un impero.
Tanto la regia quanto il copione di Tutti i soldi del mondo sono solo apparentemente lineari e didascalici, perché a ben guardare aggiungono via via strati di significato alla costruzione visiva e narrativa convenzionale, con la tipica abilità di Scott nel prestare attenzione al dettaglio anche quando mette in scena vaste inquadrature di insieme. Regista e sceneggiatore creano un racconto senza tempi morti che scorre veloce verso la conclusione, di grande accessibilità popolare ma di altrettanto grande efficacia nel trasmettere il messaggio che l'accumulo di denaro non equivale all'abbondanza, e che esiste una differenza fra inestimabile e impagabile. E poiché "i soldi rappresentano qualcosa che la gente non ha", la loro ossessiva presenza in scena è in realtà il simulacro di un'assenza, a sua volta simboleggiata da quel rapimento che ha sottratto un essere umano alla sua linea di sangue.
Per il pubblico italiano però ci sono due pesanti filtri all'apprezzamento di Tutto il denaro del mondo: un doppiaggio straniante, soprattutto degli stessi attori italiani (con la notevole eccezione di Marco Leonardi nei panni del capo della 'ndrina dei Mammoliti) e una descrizione visiva stereotipata del nostro Paese asservita alle necessità hollywoodiane, che permette al rozzo Cinquanta (molto ben interpretato dal francese Romain Duris) di contrattare telefonicamente in inglese con Gail, e ai rapitori 'ndranghetisti di ballare allegramente davanti al covo in cui hanno nascosto John Paul III.
MAR 06-03-2018 | 16:00 - 19:30 - 21:45 |
MER 07-03-2018 | 21:00 |
GIO 08-03-2018 | 20:30 |
Biglietto Intero | € 6.00 |
Biglietto Ridotto | € 4.50 |
Tessera Jolly 8 ingressi | € 32.00 |
Luglio 1973. John Paul Getty III, nipote sedicenne del magnate del petrolio Jean Paul Getty, viene rapito a Roma da una banda di criminali calabresi che chiede alla famiglia un riscatto di 17 milioni di dollari. Gail, la madre del ragazzo, si rivolge a nonno Jean Paul, il quale rifiuta categoricamente di pagare. Da quel momento inizia una triangolazione fra Gail che insiste per portare in salvo suo figlio, il miliardario che non cede alle richieste dei rapitori, e un ex agente della CIA, Fletcher Chase, negoziatore esperto nel recuperare uomini e cose. Ridley Scott si ispira alla storia vera del rapimento di John Paul Getty III prendendosi enormi libertà narrative per spostare la narrazione dal realistico al metaforico e costruire un racconto morale per il Ventunesimo secolo che vede protagonisti non gli uomini, ridotti a pedine della Storia, ma il denaro, esplorando in particolare il rapporto fra il denaro e il sangue inteso come legame famigliare ma anche come linfa vitale di quell'umanità subordinata al (dis)valore del dollaro.
Al centro di questa favola nera lugubremente ammonitrice c'è "l'uomo più ricco non solo del mondo, ma della Storia", che è un avaro archetipale: l'Arpagone di Moliére, o lo Scrooge di Dickens.
La vicenda dietro le quinte della lavorazione del film secondo la quale Christopher Plummer, prima scelta di Scott per il ruolo del "vecchio caprone", è stato rimpiazzato da Kevin Spacey e poi recuperato dopo lo scandalo che ha coinvolto Spacey, ha qualche cosa di karmico, tantopiù che Plummer aveva appena magistralmente interpretato il ruolo di Scrooge in Dickens - L'uomo che inventò il Natale. L'attore ha agilmente travasato in Getty quella caratterizzazione, compresa la radice profonda dell'avarizia del miliardario, ovvero la percezione della propria vulnerabilità, prima di tutto fisica.
Come in Casinò e Rapina a mano armata, in Tutti i soldi del mondo conta solo passaggio febbrile del denaro fra gli uomini, perché il denaro deve continuamente muoversi sia in valigette chiuse che attraverso mercati finanziari che fra le dita veloci delle contabili della 'ndrangheta. Un denaro che, per contro, cattura e immobilizza gli uomini, tenendo testa allo strapotere di chi ne possiede così tanto da non poterlo più contare. Ma Gail è una donna che non compra e non (si) vende, e preferisce barattare, con pragmatismo femminile, in nome di una devozione che Getty Senior non capisce ma in qualche modo rispetta.
E poiché la donna gioca su tavoli diversi con un uomo abituato a sfidarsi a scacchi da solo e spiazza il suo avversario perché in realtà lo vorrebbe alleato, è lei l'unica vincitrice morale della storia. Fletcher Chase, personaggio di invenzione nell'ottima sceneggiatura di David Scarpa, è il dannato che fa da tramite fra l'egoismo solitario del vecchio e l'altruismo materno della donna, incapace di sposare l'uno o l'altro atteggiamento nei confronti di una vita della quale si è mantenuto ai margini. La quarta parete è Cinquanta, il rapitore calabrese ferino tanto nell'istinto predatore quanto nell'attaccamento famigliare, anche lui "shakesperianamente" intrappolato fra il denaro e il sangue, e l'unico ad avere consapevolezza di combattere quotidianamente contro un impero.
Tanto la regia quanto il copione di Tutti i soldi del mondo sono solo apparentemente lineari e didascalici, perché a ben guardare aggiungono via via strati di significato alla costruzione visiva e narrativa convenzionale, con la tipica abilità di Scott nel prestare attenzione al dettaglio anche quando mette in scena vaste inquadrature di insieme. Regista e sceneggiatore creano un racconto senza tempi morti che scorre veloce verso la conclusione, di grande accessibilità popolare ma di altrettanto grande efficacia nel trasmettere il messaggio che l'accumulo di denaro non equivale all'abbondanza, e che esiste una differenza fra inestimabile e impagabile. E poiché "i soldi rappresentano qualcosa che la gente non ha", la loro ossessiva presenza in scena è in realtà il simulacro di un'assenza, a sua volta simboleggiata da quel rapimento che ha sottratto un essere umano alla sua linea di sangue.
Per il pubblico italiano però ci sono due pesanti filtri all'apprezzamento di Tutto il denaro del mondo: un doppiaggio straniante, soprattutto degli stessi attori italiani (con la notevole eccezione di Marco Leonardi nei panni del capo della 'ndrina dei Mammoliti) e una descrizione visiva stereotipata del nostro Paese asservita alle necessità hollywoodiane, che permette al rozzo Cinquanta (molto ben interpretato dal francese Romain Duris) di contrattare telefonicamente in inglese con Gail, e ai rapitori 'ndranghetisti di ballare allegramente davanti al covo in cui hanno nascosto John Paul III.